(m.m.) La narrazione secondo cui il grosso del mondo intellettuale occidentale sia acriticamente schierato con la guerra strategica che gli Usa stanno conducendo nei confronti della Cina è vero fino ad un certo punto. Tuttavia pensare che gli schieramenti siano sempre marcati in modo manicheo è fuorviante. Oltre all'esempio del professor Michael Hudson tanto gigantesco quanto semi-sconosciuto in terra italica (di recente se n'è occupata OttolinaTv) ce n'è un altro che merita di essere raccontato: ossia quello quello di Jeffrey Sachs. Di origine ebraica, di orientamento democratico, progressista dalle maniere moderate, consulente delle Nazioni unite, preoccupato per le implicazioni delle attività antropiche sull'ambiente, ordinario ad Harvard, Sachs, il quale è tutto fuori che un sovversivo e che ha tutte le credenziali per essere considerato autorevole sulla grande stampa, è esponente di quella corrente del mondo accademico che storcendo il naso di fronte ad un pezzo della storia Usa, preferisce di gran lunga la via diplomatica alle guerre (militari, economiche o tecnologiche che siano) per gestire il contenzioso nell'ambito dei rapporti internazionali tra stati e tra altri portatori di interesse.
Oltre alla pubblicistica tradizionale per dare voce al suo pensiero Sachs, che non è molto presente nei salotti televisivi Usa, ha dato vita ad un bel blog, dalla grafica pulita, puntualmente popolato dagli articoli dell'accademico newyorkese. Che per inciso sono scritti in un Inglese, piano, comprensibile, lineare, pur a fronte di contenuti rigorosamente scanditi. Siccome spesso forma e sostanza, se si vogliono fare le cose per bene, debbono andare a braccetto e poiché per chiunque abbia a cuore un confronto genuino tra le idee l'origine delle fonti conta, chi impagina i corsivi di Sachs ha ben pensato di affiancare ad ogni pagina web una stampata digitale dell'articolo: in modo che ricercatori, analisti, giornalisti e chiunque abbia la necessità di rapportarsi con quei contenuti lo passa fare in modo ordinato e agevole. È un aspetto che può sembrare marginale ma è la spia di un approccio ai problemi intellettualmente onesto, tipico di chi pur convinto delle proprie idee non si sente di avere la verità in tasca. Il risultato è notevole. I corsivi di Sachs, che è considerato un luminare, vengono puntualmente ripresi su moltissime testate internazionali: quasi mai quelle italiane, ovviamente.
Da questo punto di vista ci sono due aspetti da considerare. Il primo riguarda la piega che ha preso il grosso della stampa cosiddetta mainstream del nostro Paese. È talmente schierata con i diktat che arrivano da un certo mondo atlantista da porsi limiti addirittura più stringenti di quelli che giungono da Oltreoceano: il che meriterebbe mille altre considerazioni. Il secondo aspetto riguarda l'opinione pubblica italiana. La scarsa propensione alla lettura, le difficoltà con una lingua straniera non certo impossibile in una col provincialismo innato di una parte dell'opinione pubblica paiono gli ingredienti di un mix micidiale. Che spesso ci condanna ad una marginalità che in parte è auto-imposta. Curiosità e conoscenza chiedono un prezzo è vero: ma è un prezzo che possiamo permetterci. Dirottare quel poco o quel tanto di attenzione residua da questioni meno serie a questioni più serie è, tutto sommato, ancora alla nostra portata. L'assurdo sta nel fatto che questo piccolo grande passo siano in troppi a rifiutarlo e senza che ci siano ragioni apparenti (sottolineo apparenti): questo è il vero dramma. L'ultimo corsivo di Sachs dedicato alle relazioni commerciali tra Usa e Cina è illuminante. Porta la data del 22 agosto. Il Fatto quotidiano di oggi 9 settembre lo riporta pressoché integralmente in pagina 17 a venti giorni dalla pubblicazione sul blog di Sachs. Nel circuito dell'informazione italiana di quella analisi autorevole però di fatto non c'è traccia. Ovvero non c'è traccia di un dibattito sull'argomento degno di questo nome: che si concordi o meno col docente americano.
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Marco Milioni
Uno sguardo su media, mobile journalism e giornalismo partecipativo a cura di Marco Milioni
sabato 9 settembre 2023
La Cina, la Russia e la lezione del professor Sachs: un democratico americano che preferisce la diplomazia alle guerre
sabato 2 settembre 2023
Giuliano Amato sfonda un pezzo del «muro di gomma»
Oggi 2 settembre un pezzo del «Muro di gomma» è stato sfondato, anzi è proprio venuto giù. Per capirlo basta leggere La Repubblica che proprio oggi dalla prima alla quinta pagina pubblica uno speciale sulla strage di Ustica. Le rivelazioni shock di Giuliano Amato (ne parlano tante testate nazionali oggi tra cui Il Fatto), che nella sua veste di ex presidente del consiglio dei ministri consce molti dossier classificati col segreto di Stato e con quello Nato, avranno una portata di tutto rispetto negli anni a venire. Capire il tempismo di questa uscita dell'uomo che fu a lungo il braccio destro dell'ex premier del Psi Bettino Craxi, socialista come Amato, forse ci aiuterà a capire molto di più della storia europea. E in un contesto del genere riemerge prepotentemente il ricordo di Andrea Purgatori, il giornalista che più si spese per forare quel muro e che sul quotidiano romano viene giustamente menzionato, si stagli ancora più vivido dopo la sua recente morte in circostanze ancora avvolte nel mistero. Il potente faro puntato sull'affaire Ustica è il prodromo di qualche rivelazione shock, magari sulla dipartita di Purgatori? Sarà il tempo a dirlo. Intanto bisogna dire grazie alla collega di Repubblica Simonetta Fiori, che al di là dello scoop, ha realizzato una intervista ben scritta, ben leggibile, centrata nel contesto storico e fruibile anche da parte di chi non ha una frequentazione specialistica con quei fatti. Le rivelazioni di Repubblica poi impongono anche un'altra riflessione: giacché ci spingono ad interrogarci se nel cosiddetto fronte occidentale non sia in corso una sorta di resa dei conti gonfia di incognite. Della quale le rivelazioni su Ustica potrebbero costituire un improvviso ma accecante riverbero. Ad ogni modo da oggi le piste sulle quali autorità, giornalisti, politici, attivisti, storici ed analisti potranno o dovranno lavorare si sono moltiplicate. E tutto sommato non è un male.
sabato 19 novembre 2022
A Padova niente foto e niente filmati all'udienza del processo dei misteri
Marco Milioni
lunedì 30 maggio 2022
Strabismi e parallelismi nel caso Report - Dalle Chiaie
Sembra esserci una sorta di parallelismo asimmetrico tra l'inchiesta di Report di lunedì scorso sul ruolo presunto di Stefano Dalle Chiaie nell'ambito della strage di Capaci (che verrà ripresa e approfondita oggi 30 maggio) e un'altra inchiesta che sempre Report su Rai tre mandò in onda nel 2019. In questo senso vanno ricordati anzitutto due aspetti.
Uno, Paolo Mondani, inviato di spicco di Report, nel 2019 ai taccuini di Vicenzatoday.it descrisse quella indagine degli inquirenti sull'affaire Montante, in una con le liason che ne derivavano con l'affaire Banca nuova - BpVi «una delle più interessanti inchieste giudiziarie degli ultimi quindici anni». Due, sempre Mondani ai taccuini di Vicdnzatoday.it spiegò per l'appunto come «Banca nuova sarebbe stata usata anche come centrale informativa».
E quindi il parallelismo tra i due casi dove sta? In entrambe le vicende emergono interrogativi cruciali sul ruolo ultimo dei nostri servizi segreti e sulla filiera decisionale che fu ed è alla base del loro operato. L'asimmetria per certi aspetti speculare che invece riguarda l'inchiesta di Report del 2019 e quella odierna è evidente per certi aspetti. Tre anni fa le reazioni furono de facto inesistenti. Ai giorni nostri la reazione di alcuni pezzi delle istituzioni è stata così strabicamente fuori da ogni canone di responsabilità, che il suo essere iperbolica fa pensare ad un messaggio cifrato inviato non solo a Report ma pure ad altri. In questo senso il ruolo dei media durante questa ultima settimana andrebbe passato ai raggi X perché potrebbero emergere dettagli di non poco conto.
domenica 21 febbraio 2021
No alla censura per Fuma, anche se la sua canzone non vale un'acca
Da alcune ore su quotidiani e social network infuria la polemica sul videoclip di un cantante trap o rap (tale Fuma del quale ignoravo l'esistenza per vero). Alla base della polemica c'è il fatto che brano e video inciterebbero all'odio contro le forze dell'ordine anche perché nelle riprese si vede un attore vestito da poliziotto che penzola a testa in giù, simulando una morte violenta. La pubblicazione del video ha scatenato le ire di tanti comprese quelle dei più alti vertici della Polizia di Stato come ricorda Today.it peraltro. Ora la polizia o chiunque lo ritenga opportuno, se intende stigmatizzare l'accaduto ha tutto il diritto di farlo. Ciò che va meno bene è che qualcuno, come si legge sui social, pensi di censurare il video anche sul piano penale. La canzone, per quanto artisticamente valga poco o nulla, costituisce comunque la manifestazione di una forma, pur elementare e sgangherata, se non di arte almeno di espressività umana: punto. E lo dice il figlio di un poliziotto. La manifestazione del proprio pensiero con l'arte è un diritto incomprimibile e non negoziabile, nonostante il codice penale italiano abbondi di disposizioni idiote, vecchie e liberticide come quelle sulla diffamazione, sull'odio razziale, sul vilipendio alla bandiera, all'esercito, al capo dello Stato in una con tutti gli altri rimasugli che fanno capo al concetto di lesa maestà o alla tendenza più moderna di negare l'odio come sentimento e la vendetta come desiderio, talvolta sacrosanto, connaturato con la natura umana.
Se la storia, chiamiamola così, narrata da Fuma, non avesse preso la forma di un clip condiviso centinaia di migliaia di volte ma avesse preso la forma di una poesia pubblicata in un libro di poesie, la vicenda avrebbe avuto questa enfasi? Ovviamente no. Quando nel 1993 i Megadeth, una delle band più talentuose della scena heavy metal statunitense pubblicarono il video-clip di «Symphony of desctruction» in cui si preconizzava l'assassinio del presidente degli Stati uniti, nessuno si sognò di censurare quel video. Che peraltro era molto ben girato e faceva da pendant ad uno dei brani più riusciti della band, brano che ancora oggi viene visto su YouTube da centinaia di migliaia di persone. Nessuno peraltro oggi ha mai richiesto la rimozione di quel video che tra l'altro usa la violenza delle immagini non come ambito fine a sé stesso ma per dare corpo ad un precisa denuncia sociale.
Chiaramente i Megadeth come avvenne più o meno nello stesso periodo per i tedeschi Accept con Objection overruled (la canzone in cui si preconizzava l'omicidio della corte penale che aveva mandato assolti i poliziotti per i fatti che avevano scatenato la sommossa di Los Angeles nel '92) o ancor più con i Rage against the machine per le loro canzoni incendiarie che incitavano alla rivolta sociale, furono bersaglio di critiche violentissime. Per i Rage against the machine, portatori di una visione sociale votata all'antagonismo senza compromessi, sorretti peraltro da un talento straordinario, addirittura ci furono le filippiche infinite della moglie dell'ex vicepresidente democratico Al Gore. Purtroppo oggi chi critica Fuma è caduto nel suo tranello. Nel tranello di chi avendo poco o nulla da offrire sul piano musicale la butta sul clamore. Purtroppo è possibile qualcuno vicino a Fuma creda che quest'ultimo abbia il talento e la vitalità del rapper catalano Hasel, che proprio in ragione delle sue canzoni recentissimamente è stato imprigionato dalla polizia: cosa che ha scatenato una sacrosanta rivolta sociale in un Paese come la Spagna in cui l'eredità della dittatura franchista si fa sentire ancora in tutto l'arco costituzionale.
martedì 17 novembre 2020
Ranieri Guerra, mister Fabiano e il Corriere veneto
mercoledì 11 novembre 2020
Il voto regionale e «la deriva del M5S»
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