Marco Milioni
Uno sguardo su media, mobile journalism e giornalismo partecipativo a cura di Marco Milioni
giovedì 7 agosto 2025
Liberté, sanité, maddeché, pariolinité
Si tratta della cosiddetta deriva neoliberista che infinitamente meglio di me hanno descritto autori del calibro, tra i tanti, di Eric Hobsbawm e Noam Chomsky. Bene, come accade di frequente, dalla cerchia delle mie vecchie conoscenze, ex compagni di scuola, colleghi, amici, è partito il solito momento di scazzo nevrotico. «Metteve sullo stesso piano la destvua con le vuesponsabilità della galassia del centro-sinistva, così smevigliata e cangiante, non va bene. Si tvatta di cviticità più sfumate e comunque minovi. Cavo Mavco, la tua è una opevazione populista».
Agli amici piddini dico, simpaticamente, c'avete torto. Il grosso della vostra area, tanto quanto la parte preponderante della destra, è stata negli anni uno dei soggetti che più ha sdoganato l'assoggettamento della politica al disegno di una deriva privatistica e neoliberista della società: punto. Con l'aggravante morale, che è proprio la sinistra l'area politica che avrebbe, come suo obiettivo primario, l'emancipazione della società dalla logica elitista del giogo sfruttato-sfruttatore. Che dai tempi di Menenio Agrippa fino alle teorie dell'elitismo in tutte le sue declinazioni oggi dominanti (bussare alla porta dei cantori Mosca, Pareto e Michels per informazioni) costituisce l'ossatura di un tessuto sociale che produce diseguaglianze. Per aver unito, seppure in nuce, questi puntini, mi sono addirittura beccato una accusa di «pietrogermismo».
Diciamo che quella che per qualcuno è una accusa non solo è un merito, ma è una felice intuizione al contrario. Pietro Germi infatti, i cui film ho avuto la fortuna di poter vedere fin da piccolino, è uno degli autori che più ha contribuito a formare la mia personalità. Il fatto che la critica dei piddini Ztl ante litteram come Guido Aristarco e Umberto Barbaro avesse Germi sul gozzo, la dice lunga, anzi Esselunga, su quali fossero le mire reali (potere fine a sé stesso) di quel pezzo di «sinistva», ormai spiaggiata a Capalbio, che oggi ritroviamo nottetempo attovagliata sulle terrazze di certi attici meneghini, romani e vicentini a declamare le magnifiche sorti e progressive del sincretismo eco-chic che ormai pervade le loro giornate. Il tutto mentre a destra, con una certa maldestra efficienza, c'è chi svolge lo sporco e duro lavoro dei padroni: un esempio? Dici Gaza e poi muori: liberté, sanité, maddeché, pariolinité.
sabato 9 settembre 2023
La Cina, la Russia e la lezione del professor Sachs: un democratico americano che preferisce la diplomazia alle guerre
(m.m.) La narrazione secondo cui il grosso del mondo intellettuale occidentale sia acriticamente schierato con la guerra strategica che gli Usa stanno conducendo nei confronti della Cina è vero fino ad un certo punto. Tuttavia pensare che gli schieramenti siano sempre marcati in modo manicheo è fuorviante. Oltre all'esempio del professor Michael Hudson tanto gigantesco quanto semi-sconosciuto in terra italica (di recente se n'è occupata OttolinaTv) ce n'è un altro che merita di essere raccontato: ossia quello quello di Jeffrey Sachs. Di origine ebraica, di orientamento democratico, progressista dalle maniere moderate, consulente delle Nazioni unite, preoccupato per le implicazioni delle attività antropiche sull'ambiente, ordinario ad Harvard, Sachs, il quale è tutto fuori che un sovversivo e che ha tutte le credenziali per essere considerato autorevole sulla grande stampa, è esponente di quella corrente del mondo accademico che storcendo il naso di fronte ad un pezzo della storia Usa, preferisce di gran lunga la via diplomatica alle guerre (militari, economiche o tecnologiche che siano) per gestire il contenzioso nell'ambito dei rapporti internazionali tra stati e tra altri portatori di interesse.
Oltre alla pubblicistica tradizionale per dare voce al suo pensiero Sachs, che non è molto presente nei salotti televisivi Usa, ha dato vita ad un bel blog, dalla grafica pulita, puntualmente popolato dagli articoli dell'accademico newyorkese. Che per inciso sono scritti in un Inglese, piano, comprensibile, lineare, pur a fronte di contenuti rigorosamente scanditi. Siccome spesso forma e sostanza, se si vogliono fare le cose per bene, debbono andare a braccetto e poiché per chiunque abbia a cuore un confronto genuino tra le idee l'origine delle fonti conta, chi impagina i corsivi di Sachs ha ben pensato di affiancare ad ogni pagina web una stampata digitale dell'articolo: in modo che ricercatori, analisti, giornalisti e chiunque abbia la necessità di rapportarsi con quei contenuti lo passa fare in modo ordinato e agevole. È un aspetto che può sembrare marginale ma è la spia di un approccio ai problemi intellettualmente onesto, tipico di chi pur convinto delle proprie idee non si sente di avere la verità in tasca. Il risultato è notevole. I corsivi di Sachs, che è considerato un luminare, vengono puntualmente ripresi su moltissime testate internazionali: quasi mai quelle italiane, ovviamente.
Da questo punto di vista ci sono due aspetti da considerare. Il primo riguarda la piega che ha preso il grosso della stampa cosiddetta mainstream del nostro Paese. È talmente schierata con i diktat che arrivano da un certo mondo atlantista da porsi limiti addirittura più stringenti di quelli che giungono da Oltreoceano: il che meriterebbe mille altre considerazioni. Il secondo aspetto riguarda l'opinione pubblica italiana. La scarsa propensione alla lettura, le difficoltà con una lingua straniera non certo impossibile in una col provincialismo innato di una parte dell'opinione pubblica paiono gli ingredienti di un mix micidiale. Che spesso ci condanna ad una marginalità che in parte è auto-imposta. Curiosità e conoscenza chiedono un prezzo è vero: ma è un prezzo che possiamo permetterci. Dirottare quel poco o quel tanto di attenzione residua da questioni meno serie a questioni più serie è, tutto sommato, ancora alla nostra portata. L'assurdo sta nel fatto che questo piccolo grande passo siano in troppi a rifiutarlo e senza che ci siano ragioni apparenti (sottolineo apparenti): questo è il vero dramma. L'ultimo corsivo di Sachs dedicato alle relazioni commerciali tra Usa e Cina è illuminante. Porta la data del 22 agosto. Il Fatto quotidiano di oggi 9 settembre lo riporta pressoché integralmente in pagina 17 a venti giorni dalla pubblicazione sul blog di Sachs. Nel circuito dell'informazione italiana di quella analisi autorevole però di fatto non c'è traccia. Ovvero non c'è traccia di un dibattito sull'argomento degno di questo nome: che si concordi o meno col docente americano.
CONSULTA LA HOME PAGE DEL PROFESSOR SACHS
sabato 2 settembre 2023
Giuliano Amato sfonda un pezzo del «muro di gomma»
sabato 19 novembre 2022
A Padova niente foto e niente filmati all'udienza del processo dei misteri
lunedì 30 maggio 2022
Strabismi e parallelismi nel caso Report - Dalle Chiaie
domenica 21 febbraio 2021
No alla censura per Fuma, anche se la sua canzone non vale un'acca
martedì 17 novembre 2020
Ranieri Guerra, mister Fabiano e il Corriere veneto
